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sabato

Tre regole: equilibrio, semplicità, chiarezza


Nei miei ricordi - lavoravo durante il giorno
e frequentavo  un corso serale di grafica  -
è ancora viva l’immagine di un professore:
era un uomo non più giovane, comunicava
con un sorriso aperto e cordiale,
come noi vestiva jeans e maglioni colorati. 
Durante le lezioni sedeva tra i nostri banchi 
e con noi disegnava e colorava,
non sulla lavagna o dietro la cattedra.
Le sue idee ci arrivavano in presa diretta:
equilibrio, semplicità e chiarezza
erano i suoi insegnamenti,
teorici e pratici, per la vita e per la grafica.
Lavorava sui nostri schizzi, 
migliorandoli, stava accanto a noi,
osservando attentamente le nostra attività.
La sua dote la spendeva così:
il suo tratto preciso trasformava  i nostri disegni
che, improvvisamente, diventavano bozzetti speciali.
Comunicava direttamente con noi e ci insegnava,
tratto dopo tratto, la sua conoscenza.

(Joan Mirò - Ballerina II)


"Cosa abbiamo fatto noi grafici? Siamo partiti dall’autodidattismo
per preparare una didattica efficiente. Dal nostro primitivo slancio
scarso  di t ecnica bisognava offrire  agli  studenti  un  corredo
di buona tecnica  senza far loro perdere il necessario entusiasmo."
Albe Steiner, Il mestiere di grafico, Einaudi, Torino, 1978

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mercoledì

Educazione alla critica

La vera educazione deve essere un’educazione alla critica. Fino a dieci anni (adesso forse è anche prima), il bambino può ripetere ancora: «L’ha detto la signora maestra, l’ha detto la mamma». Perché? Perché, per natura, chi ama il bambino mette nel suo sacco, sulle spalle, quello che di meglio ha vissuto nella vita, quello che di meglio ha scelto nella vita. Ma, ad un certo punto, la natura dà al bambino, a chi era bambino, l’istinto di prendere il sacco e di metterselo davanti agli occhi (in greco si dice pro-bállo, da cui deriva l’italiano “problema”). Deve dunque diventare problema quello che ci hanno detto! Se non diventa problema, non diventerà mai maturo e lo si abbandonerà irrazionalmente o lo si terrà irrazionalmente. Portato il sacco davanti agli occhi, ci si rovista dentro. Sempre in greco, questo “rovistarci dentro” si dice krinein, krísis, da cui deriva “critica”. La critica, perciò, consiste nel rendersi ragione delle cose, non ha un senso necessariamente negativo. Dunque, il giovane rovista dentro il sacco e con questa critica paragona quel che vede dentro, cioè quel che gli ha messo sulle spalle la tradizione, con i desideri del suo cuore: il criterio ultimo del giudizio, infatti, è in noi, altrimenti siamo alienati. Ed il criterio ultimo, che è in ciascuno di noi, è identico: è esigenza di vero, di bello, di buono. Al di qua o attraverso tutte le differenze possibili e immaginabili con cui la fantasia può giocare su queste esigenze, queste fondamentalmente rimangono identiche nelle mosse, anche se diverse per i connotati vari delle circostanze dell’esperienza. La nostra insistenza è sull’educazione critica: il ragazzo riceve dal passato attraverso un vissuto presente in cui si imbatte, che gli propone quel passato e gliene dà le ragioni; ma egli deve prendere questo passato e queste ragioni, mettersele davanti agli occhi, paragonarle con il proprio cuore e dire: «è vero», «non è vero», «dubito». E così, con l’aiuto di una compagnia (senza questa compagnia l’uomo è troppo alla mercé delle tempeste del suo cuore, nel senso non buono e istintivo del termine), può dire: «Sì» oppure «No». Così facendo, prende la sua fisionomia d’uomo. Abbiamo avuto troppa paura di questa critica, veramente. Oppure, chi non ne ha avuto paura, l’ha applicata senza sapere che cosa fosse, non l’ha applicata bene. La critica è stata ridotta a negatività, per ciò stesso che uno fa problema di una cosa che gli è stata detta. Io ti dico una cosa: porre un interrogativo su questa cosa, domandarsi: «è vero?», è diventato uguale a dubitarne. L’identità tra problema e dubbio è il disastro della coscienza della gioventù. Il dubbio è il termine di un’indagine (provvisorio o no, non so), ma il problema è l’invito a capire ciò che ho davanti, a scoprire un bene nuovo, una verità nuova, cioè ad averne una soddisfazione più carica e più matura. Senza uno di questi fattori: tradizione, vissuto presente che propone e dà le ragioni, critica - come ringrazio mio padre di avermi abituato a chiedere le ragioni di ogni cosa, quando, tutte le sere prima di addormentarsi, mi ripeteva: «Ti devi chiedere il perché. Chiediti il perché» (lui lo diceva per ben altri motivi!) -, il giovane è foglia frale lungi dal proprio ramo («Dove vai tu?», diceva Leopardi), vittima del vento dominante, della sua mutevolezza, vittima di un’opinione pubblica generale creata dal potere reale. Noi vogliamo - e questo è il nostro scopo - liberare i giovani: liberare i giovani dalla schiavitù mentale, dalla omologazione che rende schiavi mentalmente degli altri.

"Il rischio educativo" - Mons. Luigi Giussani

martedì

Affrontare le incertezze


"Una nuova coscienza comincia a emergere: il mondo umano, messo ovunque a confronto con le incertezze, è trascinato in una nuova avventura. Dobbiamo imparare ad affrontare l'incertezza, perchè viviamo in tempi che cambiano e in cui i valori sono ambivalenti, dove tutto è collegato. E' per questa ragione che l'educazione deve riconoscere le incertezze legate alla conoscenza"





"Une conscience nouvelle commence à émerger : l’homme, confronté de tous côtés aux incertitudes, est emporté dans une nouvelle aventure. Il faut apprendre à affronter l’incertitude, car nous vivons une époque changeante où les valeurs sont ambivalentes, où tout est lié. C’est pourquoi, l’éducation du futur doit revenir sur les incertitudes liées à la connaissance"






"Les sept savoirs nécessaires à l'éducation du futur" - Chapitre V : Affronter les incertitudes - Edgar Morin