L’ho trovata una fredda mattina di dicembre: ha capito che la guardavo e si è coricata sul dorso per farsi accarezzare, un gesto che in seguito avrebbe ripetuto molte volte. Stava lì, una volpina bastardina, affamata e sporca, muso allungato, occhi dorati e coda in movimento. Così ho deciso che sarebbe venuta con noi. Nella sua cuccia di legno ha trascorso qualche notte legata, abbaiando. Poi, l’inverno freddo ha giocato a suo favore, l’abbiamo lasciata dormire in casa.
Le abbiamo dato un nome, Tilly.
Sempre affamata, di cibo e di affetto, ci ha amati da subito, ma ha capito che per stare con noi avrebbe dovuto rinunciare alla sua libertà, e da subito ha imparato ad obbedire. Nata per correre, partiva con uno scatto improvviso appena le toglievamo il guinzaglio. Scappava, ma dopo qualche ora ritornava: ricordo,una sera che pioveva, la mia disperazione ed il suo sguardo pieno di timore quando, aperta la porta, era là, fradicia d’acqua, sotto la pioggia battente.
Una sola volta l’abbiamo cercata per ore, chiamandola perché ritornasse (poi il veterinario ci avrebbe detto che sarebbero arrivati i suoi cuccioli). Da allora non ha più cercato di scappare ma ogni tanto, guardandola, vedevo prati e orizzonti nel suo sguardo perso lontano. Non dimenticava e combatteva ancora con il suo desiderio di libertà: una notte, chiusa in una stanza, nel tentativo di aprire la porta, aveva colorato la maniglia di rosso col sangue uscito delle zampe.
I ricordi arrivano da soli, scrivendo.
Le parole aiutano a definire i contorni della nostra memoria: i caldi pomeriggi estivi, le formiche sul pavimento grezzo, i giochi con la nostra figlia più piccola, un balzo improvviso per prendere una farfalla, l’immobilità silenziosa di fronte ad un branco di cani selvatici nel parco, le sue orme piccole vicino alle nostre nella neve, le giornate trascorse ad attenderci, il muso appoggiato per ore sulle mie gambe nelle sere invernali.
Un giorno di primavera , sulla porta di casa, abbiamo notato la sua improvvisa magrezza: dopo pochi mesi ci ha lasciato. Quando abbiamo visto che eravamo alla fine, avvolta in una calda coperta, in braccio e piangendo, l'abbiamo accompagnata - accarezzandola e parlandole - verso la sua meta, senza soffrire e cullata dalle nostre parole di affetto. La sera prima le avevamo dato il suo cibo preferito.
La immagino correre, libera, Tilly.
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