martedì

Paura del silenzio - Ilvo Diamanti

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Ieri ho partecipato al funerale di un amico di famiglia. Se n'è andato dopo una malattia lunga e penosa, per sé e per i propri cari. La Chiesa era molto affollata, visto il giorno e l'ora. Nei paesi, d'altronde, la gente si conosce bene. I riti che scandiscono vita e morte sono ancora seguiti. Un segno di coesione sociale. Comunque, un tentativo di riprodurre la comunità. A fine cerimonia, mentre la bara attraversava la Chiesa, spinta dai necrofori, è scattato l'applauso. Immancabile. Ormai, fa parte, anch'esso, della cerimonia. È un rito. L'applauso dopo la morte, nell'ultimo tratto di percorso prima della sepoltura. Invece del silenzio di un tempo: un applauso lungo. Quasi caloroso, per smorzare il clima rigido. E grigio. È come non ci fosse più indulgenza per il silenzio. Neppure di fronte alla morte. Nessuna tolleranza, neppure per la tristezza. Occorre sopirla in fretta, rompere il silenzio. Con l'applauso. Che, certo, fa sentire l'affetto dei presenti ai familiari. Ma serve anche e, forse, soprattutto, a consolare gli altri. Noi. Incapaci di sopportare il silenzio e la tristezza. Così ci immerge in mezzo ai suoni e al fragore. Dovunque e in ogni momento del giorno. Anche quando si cammina: le cuffie e l'iPod ci isolano dagli altri. Sperduti nella musica che gira intorno.

La morte, il dolore: diventano accettabili solo come spettacolo. Come avviene, da giorni, per il caso della povera Sarah Scazzi. Su cui tutti si interrogano Davanti alla tv. Aprendo i giornali. A ogni ora del giorno. La morte altrui: esorcizzata trasformandola in un feuilleton. Un'inchiesta noire, a cui milioni di persone assistono in diretta. Minuto per minuto. Entrano nella casa dell'assassino  -  presunto. Scrutano nel volto dei parenti delle vittime. Si interrogano sui moventi e sui movimenti. La "morte in diretta" (e  -  più ancora - "in differita", come ha scritto Aldo Grasso) permette a tutti di esorcizzare la morte. Lo "spettacolo del dolore" permette a tutti di esorcizzare il dolore. Così, la televisione diventa "la nuova terra del rimorso" (per citare Francesco Merlo). Dove il rimorso è un'eco debole e lontana.  Un suono sottile in mezzo al rumore. Dove il dolore privato genera inquietudine. Per cui viene "messo in scena": diventa pubblico. Esibito in mezzo a persone che diventano, a loro volta, "pubblico". Così, in Chiesa, alla fine del rito funebre, si applaude.  Per paura del silenzio. Lo spettacolo è finito. Andate in pace.


(21 ottobre 2010)
Bussole di Ilvo Diamanti

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